La normativa, attesa per il 2024, regolamenterà le asserzioni ambientali, al fine di rendere i consumatori europei più informati in merito e aiutarli a fare scelte di acquisto consapevoli.

Il fenomeno washing fa riferimento a strategie di comunicazione ingannevolmente positive sotto il profilo sociale, ambientale o di altro tipo, per distogliere l’opinione pubblica dal reale impatto negativo dell’azienda. Regolatori, imprese e media parlano comunemente di greenwashing, ma ne esistono altri altrettanto insidiosi. L’ambiente, infatti, non è l’unico argomento che le aziende utilizzano per enfatizzare il loro prodotto: anche parità di genere, diritti delle comunità LGBTQIA+, solidarietà sono talvolta usate nella comunicazione delle organizzazioni per promuovere la propria storia e i propri prodotti. Stiamo parlando del Pinkwashing, del Socialwashing, Blackwashing, Rainbow Washing, Wokewashing e molti altri: se si intende valorizzare il proprio impegno in sostenibilità è importante conoscerli e riconoscerli.

Oggi parliamo di Green Claim Directive, di cosa si tratta?

Dopo aver approvato degli emendamenti a maggio 2023, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europea hanno raggiunto un accordo sulla Direttiva Green Claim, che ha l’obiettivo di combattere le affermazioni ingannevoli o non fondate in materia ambientale da parte delle imprese. Si tratta di asserzioni esplicite presenti sulle etichette dei prodotti, sulle comunicazioni e sulle campagne promozionali per qualificarsi sotto l’aspetto del “valore ambientale”. La Direttiva mira a creare trasparenza e a dare ai consumatori la certezza che ciò che viene pubblicizzato come “ecologico” lo sia effettivamente.

Al fine di poter applicare la norma, il Consiglio dell’Unione Europea, il Parlamento e la Commissione Europea stanno attualmente redigendo il testo definitivo della Direttiva, attesa nel 2024, che dovrà poi essere recepita dagli Stati membri e la cui entrata in vigore operativa è prevista per il 2026.

Perché una direttiva sui green claims?

La proposta di direttiva rappresenta una risposta alle crescenti preoccupazioni dei consumatori circa l’affidabilità delle dichiarazioni in ambito ambientale. Lo studio della Commissione Europea del 2020 ha rilevato che il 53,3% delle asserzioni ambientali delle aziende esaminate erano vaghe, fuorvianti o infondate e il 40% era completamente infondato. Tendenze analoghe sono state riscontrate anche nello Screening dei siti web incentrato sul greenwashing effettuato dalla stessa Commissione nel 2020.
Secondo l’Ufficio europeo per l’ambiente attualmente il 75% dei prodotti presenti sul mercato europeo riporta un’indicazione verde implicita o esplicita; inoltre, più della metà di queste indicazioni sono vaghe, fuorvianti o prive di fondamento. Allo stesso tempo, quasi la metà dei 230 marchi ecologici disponibili nell’UE presenta procedure di verifica molto deboli o addirittura assenti.
Gli obiettivi della Direttiva possono essere riassunti nei seguenti punti:

  • tutelare i cittadini e le imprese dal greenwashing;
  • aumentare la credibilità delle asserzioni ambientali;
  • migliorare la competitività delle imprese che si impegnano realmente dal punto di vista ambientale;
  • tutelare l’ambiente e favorire la transizione verde.

Per offrire una guida alla corretta comunicazione sui temi della sostenibilità l’ISO ha pubblicato nel 2019 la ISO/TS 17033: Ethical Claims and supporting information, che indica i principi e i requisiti per la formulazione di ogni tipo di claim etico (sociale, ambientale, di giustizia economica, rispetto degli animali ecc..)

Cosa prevede la nuova normativa? E quali green claims saranno banditi?

La normativa introduce norme specifiche volte a contrastare le pratiche commerciali sleali che impediscono ai consumatori di compiere scelte di consumo sostenibili, quali le dichiarazioni ambientali ingannevoli (greenwashing), i marchi di sostenibilità o gli strumenti di informazione sulla sostenibilità non trasparenti e non credibili. Le affermazioni dovranno essere comprovate da prove scientifiche ampiamente riconosciute, dimostrando gli impatti ambientali, gli aspetti ambientali o le prestazioni ambientali mediante, ad esempio, l’analisi del ciclo di vita (LCA).
A titolo esemplificativo, saranno pertanto vietate:

  • asserzioni ambientali generiche, come “naturale”, “ecologico”, “biodegradabile”, “a emissioni zero”, senza alcuna dimostrazione provata;
  • affermazioni sulla compensazione delle emissioni tali da definire un prodotto a zero o ridotto impatto ambientale;
  • etichette di sostenibilità non provenienti da certificazioni approvate o stabilite dalle autorità pubbliche;
  • dichiarazioni sulla durabilità (tempo o intensità di utilizzo) se non dimostrate;
  • informazioni volte a indurre il consumatore a sostituire i materiali di consumo prima del necessario;
  • aggiornamenti di software presentati come necessari quando migliorano solo le funzionalità;
  • beni proposti come riparabili quando non lo sono.
Una Direttiva che rivoluziona la situazione finora in vigore…

L’applicazione di tali regole genererà un grande impatto sulle aziende che operano nell’UE, poiché ogni affermazione significativa in materiala ambientale dovrà poggiare su dati effettivi e verificabili, consentendo a organizzazioni terze di certificarle e ai consumatori di accedere a tali informazioni.

Sebbene il testo della legislazione non sia ancora definitivo, da quello finora proposto traspare già la rotta dell’UE verso una sensibilizzazione europea sul tema della sostenibilità ambientale, in linea con le aspettative dei cittadini in materia di consumo, imballaggio e produzione sostenibili.

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